Si poteva evitare la Shoah?
Assai
più
del
Festival
di
Sanremo,
mi
ha
sempre
appassionato
il
dibattito
che,
anche
sulle
pagine
di
Identità,
tende
a
ripensare
e
far
ripensare
su
come
sia
stato
possibile
il
succedere
della
Shoah.
Una
tragedia
di
tale
entità
che,
con
gli
occhi
di
oggi
si
stenta
a
comprendere
come
possa
aver
visto,
tra
le
altre
nefandezze,
l’inerzia
quando
non
addirittura
la
connivenza
di
un
(quasi)
intero
popolo.
Possibile,
ci
si
continua
a
chiedere
ormai
da
decenni,
che
nessuno
abbia
avuto
il
sentore
di
quel
che
succedesse?
Proprio
qualche
sera
fa,
infatti,
facendo
zapping
per
evitare
Conti
e
Filippi,
mi
è
capitato
di
rivedere
in
TV
un
vecchio
film
del
1961:
“Vincitori
e
Vinti”,
sul
processo
di
Norimberga.
Grande
pellicola
e
soprattutto
grandi
interpreti
(quel
che
oggi
viene
definito
un
“cast
stellare”):
Marlene
Dietrich,
Spencer
Tracy,
Maximilian
Schell,
Judy
Garland,
Montgomery
Clift,
Richard
Widmarc,
Burt
Lancaster.
Grande
anche
la
regia
di
Stanley
Kramer,
ma,
soprattutto,
grandissimo
il
testo.
Un
copione
che
analizza
in
profondità
la
tragedia
della
Shoah:
i
moventi
che
hanno
spinto
persone,
anche
per
bene,
ad
agire
da
criminali,
le
connivenze
del
mondo
che
è
rimasto
a
guardare
a
lungo
e
che,
spesso,
ha
tratto
beneficio
da
quella
situazione.
Nel
film
emerge,
infatti,
tutta
la
pressione
alla
quale
è
sottoposto
il
giudice
da
parte
dell’establishment,
che
ritiene
di
non
doversi
alienare
l’opinione
pubblica
tedesca
con
condanne
troppo
severe.
Pressione
alla
quale
il
giudice
si
sottrae
nella
convinzione
profonda
che
la
giustizia
non
debba
scendere
a
compromessi.
Mi
ha
colpito
il
rimorso
lacerante
di
uno
degli
imputati
che,
magistrato
egli
stesso,
chiede
di
parlare
al
giudice
dopo
la
condanna.
Stimandolo
massimamente,
desidera
che
egli
“creda”
nella
sua
buonafede
degli
inizi.
«Mai
–
gli
dice
-
avrei
immaginato
che
le
conseguenze
sarebbero
state
così
tragiche».
Da
scolpire
nel
granito
la
risposta,
altrettanto
sofferta,
del
giudice
americano:
«Doveva capirlo la prima volta che condannò un uomo, sapendolo innocente».
M.N.