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La lentezza dei processi è già una condanna Fra i tanti motivi di scontento e di sofferenza che troviamo nella società, ce n’è uno che ultimamente mi assilla più di altri per il fatto che ha colpito una persona a me vicina: è la situazione della Giustizia in Italia. Credo che, come in ogni realtà umana, anche in questo campo esistano ottimi giudici, onesti, solerti, intelligenti e, soprattutto, consci dell’altissima responsabilità di cui sono investiti disponendo del potere di decidere dell’innocenza o colpevolezza delle persone. Nondimeno mi auguro di non cadere mai nelle maglie della Giustizia perché, osservandone l’andamento, non mi sentirei assolutamente garantita di un giudzio equo. Intanto la lentezza dei processi che da sola costituisce una condanna a prescindere. Certo che il nostro ordinamento è farraginoso, di una complessità bizantina e spesso contradditoria, oberato dalla litigiosità degli Italiani e dall’obbligatorietà dell’azione penale. Ma penso che in larga parte la responsabilità sia da attribuirsi al comportamento personale di alcuni magistrati che, anziché avere l’umiltà necessaria al ruolo, si sentono investiti solo del potere che questo conferisce e ne abusano con arroganza o, nel migliore dei casi, con leggerezza. Parlo per essere a conoscenza, oltre del caso quasi personale di cui sopra, anche di altri fatti che mi sono stati riferiti da persone amiche e affidabili. La storia è piena di abusi e prevaricazioni in qualsiasi campo e tempo, ma temo che un malinteso senso di “democrazia” abbia insinuato nelle masse l’illusione di libertà di accesso a tutti i diritti, ma senza il necessario contrappeso dei doveri. Lettera firmata
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